17 giugno 2021, ore 21.30
A causa del maltempo previsto per questa sera
lo spettacolo si terrà al Teatro Baretti – Via Baretti 4

 

FILIO DELLO SPEDALE

 

di Alice Bignone
conErmanno Rovella
regia Alice Bignone

Compagnia Salz

La storia di Michè è una storia di ordinaria miseria. Michè, figlio dell’ospedale, viene preso in casa da Raldo per avere il sussidio offerto dallo stato, e attraverso il Raldo ed i suoi figli, Luigi e Doard, impara quale sia il ruolo di un uomo nel mondo.
È un bambino normale, un bambino che piange quando si arrabbia e non vuole dormire da solo, ma tanto basta perché venga chiamato Prugnetta, femminuccia, e non c’è vergogna peggiore di non essere uomo. Michè impara a non piangere, a lavorare, a dar botte invece di intristirsi, ad indurirsi di fronte al mondo come se il mondo fosse sempre pronto a colpirlo. Ha a malapena otto anni quando scappa di casa con Doard per andare a lavorare in una miniera di gesso, forse dodici quando si affitta a cottimo per mietere il grano, diciassette quando suo fratello parte per cercare fortuna in America e lui, figlio dell’ospedale, non potendo più essere a carico di quella famiglia si sposa per avere un tetto ed una mula.
Unica eccezione ad un mondo che lo spinge ad indurirsi è una gatta, la gatta che vive nel fienile, che lui chiama madre. È la gatta che lo lascia piangere senza vergogna, che gli suggerisce di essere buono, prima che uomo, è lei la zona franca dove mollare le tensioni finché, spinto dagli amici, Michè non le tira un sasso, facendola scappare.
Alla chiamata alle armi Michè risponde come pensa sia giusto per un uomo, non per sé, perché se il figlio grande del Raldo si è strappato i denti per non passare la visita e il figlio piccolo, Doard, si rifiuta di tornare dall’America per andare al fronte, lui sarà l’uomo che va in guerra per la famiglia del Raldo.
Parte con la mula mentre la moglie è incinta, ed alla moglie sa dire solo “fammi un maschio”. La guerra è qualcosa a cui Michè sa rispondere solo a muso duro, mentre intorno a lui gli stessi compagni che lo chiamavano prugnetta piangono, gridano, si suicidano al fronte: lui ha disimparato a lasciare spazio a queste cose, vergognandosi di sé stesso per il fatto di provarle. E’ la mula, la sua mula, a offrirgli la stessa zona franca che gli offriva la madre, con le stesse parole e la stessa dolcezza, quasi fosse proprio la stessa creatura tornata in forma diversa, ma alla dolcezza della mula Michè non può o non vuole più dare ascolto e la allontana, consegnandola ad un altro reparto. Quando il tenente che guida il suo battaglione si rifiuta di mandare i suoi uomini in un assalto inutile è Michè a prendere le redini, incitando i suoi compagni e guidandoli esaltato contro la trincea nemica. A quell’assalto sopravvivranno solo lui e Felice, suo compaesano, e questo è il punto di non ritorno. Michè nell’assalto perde entrambi i piedi, vede i compagni che ha portato a morire e l’uomo duro che ha costruito per tutta la vita, alla fine, crolla. Chiede a Felice di darlo per morto, perché senza piedi non potrebbe più lavorare, perché non vuole tornare in trincea ma soprattutto perché Michè è morto in quell’assalto, l’uomo Michè è qualcuno che lui non vuole più essere, lui vuole essere Prugnetta, il bambino, la femminuccia che piange e che è libera di piangere. Felice acconsente, probabilmente lasciando Michè a morire dissanguato, ma allontanatosi Felice, in mezzo ai corpi, Michè vede arrivare una cagna.

BIGLIETTERIA:
Biglietto unico 5€

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Progetto e fonti
Filio dello spedale è la storia di Michè, orfano, classe milleottocentonovantotto. Michè, come spesso accadeva, viene preso a carico da una famiglia contadina in cambio di quei due soldi che lo stato versava a chi prendesse in casa un orfano, un figlio dell’ospedale. La storia di Michè non è affatto una storia speciale, tutt’altro, è la storia di quasi tutti gli orfani che abbiano avuto in sorte il nascere a ridosso della prima guerra mondiale, ed è esattamente da questo che dipende la scelta di raccontarla.

Il testo di Filio dello Spedale è innanzitutto un recupero di memoria storica, partendo dal presupposto che, se la storia la fanno i colti, i ricchi ed i vincitori, le storie della gente come Michè sono quelle che non ci sono state raccontate. Le storie dei contadini, degli umili che sono partiti per il fronte a combattere una guerra di cui non sapevano nulla, con il fuoco nemico davanti ed il fuoco amico alle spalle per impedire loro di ritirarsi, sono ancora tristemente ignorate, mentre prosegue indisturbata la propaganda patriottica del Piave che mormorava. Non viene raccontato come l’abbandono della terra per andare al fronte rovinasse le famiglie che solo la terra avevano, non viene raccontato l’autolesionismo dei ragazzi nel disperato tentativo di non passare la visita medica, non viene raccontato come la vita che lasciavano per andare in trincea fosse, già di partenza, una vita di fatiche che le generazioni più recenti hanno scelto di dimenticare.

La storia di Michè parte dunque dal recupero storico di come fosse la vita normale di chi viveva della terra, delle bestie, di chi a scuola andava nei due mesi in cui i campi erano a riposo o non andava affatto. La ricerca storica si è appoggiata largamente al lavoro inestimabile di Nuto Revelli, le testimonianze de “Il mondo dei vinti” in particolare, e nel delineare quel mondo i testimoni avevano in bocca, come verità indiscutibili, cosa fosse definibile come “uomo”, chi fosse e cosa dovesse fare per rispondere al nome di “uomo”.
Seguendo una narrazione maschile non è stato possibile ignorare quelle che erano le leggi incrollabili del ruolo maschile, che fin da bambino veniva costretto in uno spazio ben definito: quello della forza, del lavoro, del dovere, dove queste caratteristiche sono talmente preponderanti da lasciare poco spazio al resto. La narrativa del lavoro come scopo e funzione dell’uomo era assorbita, anche e soprattutto per sopravvivenza, al punto che non era necessario cercare nient’altro, fin da bambini. Per questa ragione, nel raccontare Michè, la sua vita e la sua guerra, la scelta è stata quella di partire dal personaggio di Patroclo, che pur di fare la cosa giusta, la cosa da uomini, va al suicidio con addosso l’armatura da Achille per riportare in battaglia gli achei. Nel raccontare Michè non si parla di un uomo forte, ma di un uomo che deve essere forte perché quella è la conditio sine qua non dell’essere uomini. Necessariamente questa ricerca di virilità va a sbattere con la realtà orribile che è stata la guerra di trincea, troppo oltre quello a cui ciascuno dei ragazzi mandati al fronte poteva essere preparato.

Attraverso il lavoro di recupero storico di Aldo Cazzullo, che con “La guerra dei nostri nonni” raccoglie episodi dei soldati delle estrazioni più disparate, e sempre appoggiandosi al lavoro di Revelli, la storia di Michè si sposta quindi al fronte, lasciando da parte ogni narrativa patriottica e presentando la realtà di un ragazzo impreparato e spaventato come tutti i suoi compagni d’armi che si chiede come continuare ad essere forte, quale sia la cosa giusta, mentre i soldati intorno a lui si sbriciolano davanti alla guerra, e scegliendo, come Patroclo, di fare ciò che pensa sia il compito di un uomo.

La narrazione non avviene in italiano bensì in un grammelot di dialetti che, per quanto comprensibile, possa riportare ad un mondo che l’italiano non lo conosceva. Filio dello spedale è la storia dei nostri bisnonni, cresciuti con la pressione di essere uomini, spediti al fronte senza preparazione, e nessuno di loro al fronte bestemmiava in italiano, nessuno di loro è in italiano che chiedeva al commilitone alfabetizzato di scrivere una lettera a casa. Filio dello spedale è la storia di una generazione mandata a combattere per l’Italia quando a malapena sapeva di essere italiana.

L’ingresso  fatto nel pieno rispetto delle normative anti-covid19.

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È prevista la rilevazione della temperatura corporea all’ingresso. Sarà necessario sanificare le mani con apposito gel igienizzante e indossare la mascherina chirurgica (o superiore) anche durante lo spettacolo. Non saranno ammesse mascherine di tessuto o altro. Coloro che non hanno acquistato il biglietto online dovranno lasciare alla casa il proprio nome, cognome e numero di telefono. Se queste norme non vengono rispettate o se la temperatura corporea è superiore ai 37,5°C non sarà possibile l’ingresso.

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