24 – Lunedì 25 maggio 2020

Suonano le due

(Mozart, Don Giovanni, «Non mi dir, bell’idol mio»)

Il Don Giovanni di Mozart era una delle opere preferite di un grande della letteratura tedesca: Ernest Theodor Amadeus Hoffmann. Oltre a scrivere racconti, aveva fatto anche il compositore, il pianista, il direttore d’orchestra, l’impresario, lo scenografo, il macchinista e il librettista. Per lui il teatro d’opera era una passione incontenibile, un concreto delirio d’onnipotenza. Hoffmann creò il personaggio di Johannes Kreisler, un alter ego letterario capace di avventurarsi nel territorio dove la musica incontra il demoniaco. I suoi racconti sono di un estremo fascino, per l’irrompere dell’irrazionale e del fantastico nell’universo cristallino della novella tedesca. Nel 1815 esce la sua raccolta “Pezzi di fantasia alla maniera di Callot”. Uno dei racconti principali si chiama Don Giovanni ed è un’avventura favolosa di un viaggiatore entusiasta. Il protagonista sta soggiornando in un albergo, quando sente una sonora scampanellata. “Lo spettacolo comincia”, gli dice il cameriere. Quale? Ma come, non sa che il nostro albergo comunica direttamente con un teatro? La misteriosa stanza 23 dà proprio su un palco. L’orchestra attacca e si sente l’ouverture del Don Giovanni. In questo gioiello di racconto, tutto scarti e sussulti, Hoffmann cerca di descrivere un amore sublime come la musica, capace di vibrare con le improvvise apparizioni del soprannaturale. Per quanto possa sembrare strano, nella prima metà dell’800 Mozart era visto come un inquietante romantico. Un musicista diabolico che lasciava dietro di sé un certo odore di zolfo. Solo a metà del secolo comincerà ad affermarsi l’immagine del divino fanciullo che lo accompagnerà per molti anni.

Ascoltiamo “Non mi dir, bell’idol mio” interpretata dal soprano Irina Lungu in un allestimento di Jiří Nekvasil per il Teatro degli Stati di Praga, proprio dove il Don Giovanni venne rappresentato per la prima volta nel 1787. L’Orchestra del Teatro Nazionale di Praga è diretta da Plácido Domingo.

Viva l’opera, viva il Teatro, viva il Baretti.

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