21 marzo 2021, ore 20, in streaming sulla nostra pagina Facebook
(Lo spettacolo rimarrà in streaming per 48h, fino al 23 marzo ore 20.00)
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UN TRAM CHE SI CHIAMA DESIDERIO
di Tennessee Williams
con Olivia Manescalchi, Riccardo Livermore, Federica Dordei, Marcello Spinetta
regia Giulio Maria Cavallini
scene e costumi Eleonora De Leo
progetto sonoro Alessio Foglia
assistente alla regia Lidia Margiotta
luci Alberto Giolitti
e con le voci di Maria Grazia Solano, Giancarlo Judica Cordiglia, Marco Imparato, Elena Cascino, Leonardo Filoni
ASSOCIAZIONE BARETTI
Un tram che si chiama Desiderio è il secondo testo teatrale di Tennesse Williams prodotto nel 1947, due anni dopo il trionfo de Lo zoo di vetro. Con questi due lavori l’autore contribuì a creare una nuova forma di teatro espressionistico che porta in primo piano le esperienze emotive dei suoi personaggi a discapito di un realismo oggettivo.
L’opera fece scalpore per i suoi temi scottanti, omosessualità, pedofilia, disagio mentale e violenza domestica, trattati con una forza che scosse il mondo teatrale del dopoguerra e che ancora fa riflettere. Pur essendo stata contestata, liberò il teatro americano da puritanesimo e perbenismo portando sul palcoscenico le oscure, a volte perverse, sfumature della sessualità degli adulti. Williams fu il primo drammaturgo americano a mettere in scena i desideri sessuali delle donne e tratteggiare un personaggio maschile, Stanley Kowalski, come oggetto del desiderio del pubblico.
Nonostante il Tram che si chiama desiderio sia stato spesso messo in scena intorno a quest’ultimo, il punto di vista è indubbiamente quello di Blanche Dubois, donna che assiste al crollo del suo mondo nonostante i disperati tentativi di salvarlo. Il suo dramma suscita l’empatia del pubblico, nonostante Williams scandagli la crisi interiore di tutti i suoi personaggi portandoci a osservare con occhi più consapevoli la fragile linea di confine tra la difficoltà di relazionarsi e la follia: tutti i personaggi credono infatti di non essere vittime delle proprie ossessioni, ma in realtà ne sono imprigionati a tal punto da perdere la ragione.
Sessualità e pazzia sono temi ricorrenti nei drammi di Williams per ragioni autobiografiche. La sua giovinezza è stata segnata da due profondi traumi: l’impossibilità di far accettare la propria omosessualità a una famiglia puritana e repressiva e lo strazio causato dalla decisione della madre che fece lobotomizzare in modo irreparabile la sorella Rose affetta da crisi di ansia e schizofrenia di cui anche lui soffrì per tutta la vita.
L’unica persona che era stata in grado di contenerle era il compagno Frank Merlo: quando morì Williams precipitò in una profonda depressione che lo portò all’alcolismo. Fu trovato morto in una stanza d’albergo il 25 febbraio 1983.
Per tutto il corso di questa vita tormentata Williams riuscì comunque a trovare la forza di trasformare il dolore vissuto in arte.
L’intenzione di questa regia è far riflettere sul rapporto dell’autore con la condizione della sorella Rose vittima di una società che l’ha etichettata come pazza anziché prendersene cura.
Rose rivive in Blanche, una donna alla ricerca di un riscatto impossibile di cui cerchiamo di decifrare i tormenti e i passi falsi in una società in cui quello che dovrebbe essere il porto naturale, la famiglia, si rivela essere il luogo del “giudizio”.
È la famiglia che rappresenta l’ultima speranza fino a quando la forza del passato sovrasta il presente rendendo impossibile un futuro diverso. Di qui la scelta di ridurre il cast ai soli quattro personaggi principali per enfatizzare quanto coloro ai quali Blanche tenta di aggrapparsi siano in realtà quelli che determinano il precipitare degli eventi. I personaggi “altri” saranno solo ombre che Blanche cerca di allontanare col terrore che possano ripresentarsi.
Il passato però ritorna con i suoi fantasmi resi più spaventosi dal trascorrere del tempo e dalla consapevolezza frustrante di un destino che sembra essere inevitabile e immodificabile, quello di rimanere imprigionata: la disintegrazione dello spazio in cui si rifugia riflette il processo della sua disintegrazione interiore.
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Giulio Cavallini (Torino, 1993) diplomato alla scuola del Teatro Stabile di Torino è autore e regista dello spettacolo teatrale «#max²» che debutta nel 2016 alla Cavallerizza Reale occupata di Torino e nel 2020 è tra i finalisti del bando Registi Under 30 del 48° Festival Internazionale del Teatro della Biennale di Venezia con un progetto su «Roberto Zucco» di Bernard-Marie Koltès. È attore, autore, regista e produttore di vari cortometraggi tra i quali «Il sognatore» (2011), con cui vince il “Premio della Giuria” al Sottodiciotto Film Festival e «Conseguenze» (2017), premiato come “Miglior Thriller” ai Los Angeles Film Awards, selezionato in altri festival internazionali e dal 2020 distribuito su Amazon Prime Video in USA e UK. Nel 2020 è direttore della fotografia, aiuto regia e montatore del film sperimentale «Blackbird» di Michele Di Mauro con protagonista Valerio Binasco. Fin da ragazzo ha collaborato alla realizzazione di video-documentari di argomento artistico e storico per varie committenze. Nel 2018 scrive e dirige tre brevi documentari, i primi due prodotti dalla Venaria Reale per le mostre «Genio e Maestria» e «Antichi strumenti, illustri personaggi»; il terzo «L’eredità delle Madame Reali», prodotto da Palazzo Madama di Torino. Produce inoltre decine di video promozionali per spettacoli di Teatri Nazionali e l’intero apparato video per lo spettacolo «Causa di Beatificazione» di Michele di Mauro. Nel 2020 è co-fondatore del collettivo di produzione video Fotogramma Zero.
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