Una strana confessione

25, 26, 27 aprile 2018, ore 21
Una strana confessione

Memorie di un ermafrodito

di Herculine Barbin presentate da Michel Foucault
con Olivia Manescalchi, Giancarlo Judica Cordiglia, Caterina Gabanella
drammaturgia Olivia Manescalchi
regia Maria Grazia Solano
musiche Paolo Cipriano
direzione tecnica Alberto Giolitti

ASSOCIAZIONE BARETTI

confessione-01

Il decorso drammatico di un’esistenza che si scontra con una società intransigente che cataloga e distrugge. «Il mio arrivo a Parigi segna una nuova fase della mia duplice e bizzarra esistenza. Cresciuto per vent’anni tra fanciulle, fui prima e per due anni cameriera. A sedici anni e mezzo entrai in qualità di allieva maestra alla scuola normale di … A diciannove ottenni il diploma di abilitazione; dopo qualche mese dirigevo un pensionato assai noto nel circondario di … ; ne uscii a ventuno anni. Era d’aprile. Alla fine dello stesso anno mi trovavo a Parigi impiegato alle ferrovie».

Dalle note di scrittura di Valentina Diana:
Quando siamo malati e ci rivolgiamo a un medico ci aspettiamo che ci curi e che ci salvi. Ma non solo, anche che ci capisca, che ci consoli, che si faccia carico delle nostre paure, delle nostre necessità e persino della nostra sfiducia nella medicina. Il medico è investito di tutti i poteri, non solo taumaturgici, ma esistenziali e magici. Se ci fa male un braccio, non solo ci aspettiamo che ci curi quel braccio, ma anche che si preoccupi del nostro dolore e della nostra paura e del fatto che magari quel braccio ci serve per fare cose irrinunciabili e di fondamentale importanza per noi.
Sa – dice il paziente – io faccio il vigile, con il braccio ci lavoro.
Il medico annuisce, ma del vigile gli importa poco, o niente. Gli importa del braccio.
Il paziente è un braccio.
Il paziente è un fegato da trapiantare
Un rene da drenare
Un paziente è un cervello da assopire
Un cancro da asportare.
I medici non sono proprio umani, no, non lo sono. Sanno troppo sulla vita e devono conviverci. Sanno che la vita è una passarella fatta di assi sconnesse sospesa su un precipizio, che da un momento all’altro può crollare giù con qualcuno sopra.
Ci saranno dei dialoghi tra medici. Dei dialoghi medici pazienti. Dei dialoghi tra pazienti.
Ci sarà un grande mito: il dottor House.
Il dottor House è il punto di riferimento di tutti, sia dei pazienti che dei dottori. Ma più dei dottori. Perché tutti i dottori vorrebbero essere come il dottor House. Perché è cinico e spietato, ma salvifico. La maggior parte dei dottori cerca di essere cinica e spietata, però la maggior parte delle volte salva solo i pazienti che possono essere salvati.
Gli altri no.
È tutto lì il punto. I medici vorrebbero essere onnipotenti. Se lo fossero sarebbero delle divinità.
Vorrei che tutto il testo fosse comico e stridente, quasi dissonante.

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Foto © Chiara Barbonese

Baretti